Buongiorno Notte, la fotografia di Bellocchio sul caso Aldo Moro
BUONGIORNO, NOTTE
Regia di Marco Bellocchio
Se si potesse sintetizzare in una pagina, questo film sarebbe sicuramente una pagina bianca sulla quale si posa una fotografia. La foto è sbiadita, c’è un uomo che fissa davanti a se con due occhi grandi e malinconici. Dietro le sue spalle un manifesto rosso marchiato a fuoco da una stella a cinque punte. Se fosse una poesia accarezzerebbe il velluto nero dei versi di Emily Dickinson.
“Buongiorno, notte” è uno di quei film che lasciano il segno impalpabile del tempo che passa, delle domande irrisolte, attraverso una pellicola che rievoca una delle pagine più crude della storia del nostro Paese, il sequestro e l’assassinio dell’On. Aldo Moro. Guardi delle stanze vuote e pensi a cosa accadrà lì dentro, guardi il sole che filtra attraverso le persiane e vedi il volto di un giovane inconsapevolmente coinvolto in una questione più grande dei suoi stessi anni. Inizi a capire che è proprio il contrasto tra la luce del giorno e il buio della notte a segnare ogni evento, ogni gesto, ogni nota. Sono i contrasti appena svelati a trascinarci inevitabilmente in quello che accadrà. C’è un appartamento vuoto, un’apparente e innocente coppia di giovani che ne osserva le pareti, e più in là, ancora non lo sappiamo, ma, fuori da quella casa, un uomo diventerà, da li a poco, una vittima predestinata, segregata in uno spazio angusto in cui troverà gli ultimi giorni della propria esistenza inchiodati ad muro, sacrificati alla “luce” della vita stessa, senza nessuna pietà. Una cucina, un divano, una televisione. Entrano nell’obiettivo della macchina da presa come elementi di un ambiente qualunque ed escono “deformati” da una quotidianità distorta che il regista indaga attraverso gli occhi di Chiara, (interpretata da Maya Sansa), giovane terrorista appartenente alla lotta armata, coinvolta nel sequestro, che vive una doppia esistenza tra l’ufficio in cui lavora e il covo brigatista. Attraverso il suo sguardo, ricostruiamo la realtà “virtuale” e utopica degli “anni di piombo” senza quasi mai entrare nelle scelte dei sequestratori, nelle loro vite.
Guardi gli occhi del capo delle Br, Mario Moretti, (interpretato da Luigi Lo Cascio), e vedi la “cerebrale” freddezza e l’autocontrollo di un uomo che ha scelto di vivere nella clandestinità in nome di un’ideologia che non ha futuro. Osservi i gesti impacciati di Chiara che tiene in braccio solo per alcuni istanti il neonato affidatole dalla vicina, e pensi a quanto le costerà cara la scelta di essere una brigatista, nei suoi occhi spauriti mentre osserva il piccolo piangente. In questa scena vediamo una madre mancata che prova imbarazzo, e la osserviamo attraverso il primissimo piano del volto trasognato del piccolo che fissa il soffitto della stanza e che cattura la nostra attenzione, perché, per la prima volta vediamo la luce del sole che illumina pienamente un volto umano, entrando in netto contrasto con l’oscurità in cui piomberà il covo, da lì a poco. Emblematica la scena in cui il capo delle Br, cercando tra i documenti dell’onorevole, trova una sceneggiatura dal titolo “Buongiorno Notte” scritta dal giovane Enzo Passoscuro, (Paolo Bruguglia), nel febbraio 1978, che altro non è che un collega di lavoro della stessa Chiara. Attraverso il dialogo tra i due scopriamo i segreti che la giovane nasconde con il silenzio o con risposte laconiche e distaccate alle numerose domande del suo amico che le propone la lettura della sceneggiatura, ma si vede rifiutare con un semplice “Non ho tempo”.
Interessante la scena in cui Chiara sogna di trovarsi addormentata su di una panchina innevata e ridestandosi si ritrova ad osservare esternamente il covo, come se fosse nel corpo di un’altra donna. Da questo momento in poi, il regista utilizza una serie di raccordi di sguardo per permetterci di osservare con gli occhi della giovane, l’uomo sequestrato, l’On. Aldo Moro che dorme rannicchiato a terra. La colonna sonora impreziosisce quest’atmosfera densa di silenzi, di frasi scarne, portandoci in un terrore che non è fatto di sangue, di torture, di violenze psicologiche, ma di attese, di vane speranze che si perdono con i comunicati del Tg1 che ci rievocano gli inconsistenti tentativi di salvare Moro da parte dei politici dell’epoca. La surreale quotidianità clandestina dei sequestratori viene intravista nelle frequenti riunioni del gruppo, dalla cena attorno al tavolo al divano davanti alla televisione. Anche qui ancora raccordi di sguardo: sono questa volta gli occhi di tutti i componenti della banda a osservare impassibili, come se niente fosse, un celebre show del sabato sera di quegli anni. La vita continua con i suoi “se” e i suoi “ma” mentre in un anonimo appartamento sembra soltanto rallentare, come le pulsazioni di un polso che non reagisce più agli stimoli esterni. E’ il buio della notte ad entrare nelle paure di Chiara, nella solitudine dei suoi pensieri, come quando, credendo di sognare, rivede nella mente le immagini dei funerali di Lenin. Siamo di fronte ad un montaggio “a graffa” con una serie di rapide inquadrature in bianco e nero che, in una progressione temporale, rievocano gli ideologismi staliniani che portarono alla Rivoluzione. Questa scelta va oltre tutte le vite segnate dal bolscevismo in Russia, oltre le stragi compiute nei campi di lavoro e oltre le esistenze degli stessi brigatisti che, a distanza di anni, ripercorrono gli stessi errori, seppur in un differente contesto storico, attraverso un’ideologia che è destinata a banalizzare il senso delle loro stesse vite.
Senza dubbio il punto emotivamente più intenso del film è il dialogo silenzioso tra il capo Br e Moro. Colpisce, ancora una volta, lo sguardo fiero, sicuro e difeso di Luigi Lo Cascio, che riesce a rendere perfettamente imperturbabile il personaggio di Mario Moretti che da del “tu” all’On. Moro, che risponde tenendo le distanze con un istituzionale del “lei”. Di grande risonanza il dialogo sulle ragioni del sequestro e il dialogo sulla paura della morte. Significative le parole di Moro “Non credo che l’odio di classe, la lotta di classe sia il motore della storia” perché chiariscono l’inutilità del loro gesto, che non porterà a nessun cambiamento per l’Italia che loro stessi definiscono “proletaria”. La lotta armata altro non è che il sintomo di un’insofferenza generazionale alimentata dai problemi che, nel nostro Paese non sono mai stati risolti. La violenta strategia delle Br risulta senza futuro e corrode i valori della società civile ereditata dalla Prima Repubblica.
Una delle intuizioni più geniali del regista è nel raccordo di sguardo di Chiara che osserva il sequestrato spiando dalla serratura della porta. L’occhio della giovane diventa quello della macchina da presa, del pubblico, l’implacabile mirino di un’arma carica pronta per sparare, è quindi il punto focale di un’osservazione privilegiata di cui la storia non ha reso alcuna testimonianza. L’uomo che vediamo adesso è osservato di profilo, sul volto la consapevolezza della fine ormai vicina, mentre sullo sfondo domina il manifesto “rosso sangue”delle Br con la stella a cinque punte. Struggente la preghiera che accompagna le immagini delle esequie dei cinque agenti della scorta di Moro. Intensi i singoli sguardi dei brigatisti, imperterriti mentre ripetono che “La classe operaia deve dirigere tutto”così come particolare è la scena in cui, i familiari di Chiara riuniti festeggiano cantando “L’Internazionale” mentre lei con Enzo, è seduta in disparte e ascolta le sue parole: “I brigatisti non si accorgono che le loro vite di tutti i giorni sono il niente assoluto”. L’atteggiamento di Chiara inizia a cambiare, per la prima volta, anche lei si rende conto che forse non servirà a nulla la morte dell’Onorevole, ed entra in contrasto con i componenti del suo gruppo e con il capo Br, che si ostina a parlare di “Giustizia proletaria che prevede la pena di morte”. L’On. Moro scrive ai politici ma i democristiani non riconoscono la sua scrittura, non vogliono trattare. A questo punto, non c’è più nessuna speranza: viene dichiarato “colpevole”. “Il silenzio” riscritto come musica di commento interrompe il dialogo con il capo delle Br, e coincide con la richiesta finale, da parte del sequestrato, di poter scrivere alla moglie, ai figli e agli amici di partito. Anche qui, c’è un uomo che fissa davanti a se con due occhi grandi e malinconici. Dietro le sue spalle un manifesto rosso marchiato a fuoco da una stella a cinque punte. La musica straziante segue le parole di Moro con la sua potenza tragica, mi sembra che, in qualche modo rievochi il destino tragico dei grandi uomini che hanno segnato la nostra storia contemporanea, come ho potuto osservare nel film tv “Paolo Borsellino” magistralmente interpretato da Giorgio Tirabassi. Anche in quel caso, lo sguardo annichilito del protagonista dopo la morte dell’amico Giovanni Falcone, mi ha colpito per come il regista ha reso l’idea dell’inevitabile destino che attende il giudice: vediamo unna strada silenziosa, lui che cammina, si ferma in una piazza vuota. E’ tarda sera, e la pioggia che cade incessantemente sull’asfalto sembra non poter cancellare nessun ricordo, perché il dolore è troppo grande, e il pianto è attutito dallo scrosciare dell’acqua. In “Buongiorno, notte” l’intensità sonora de “Il silenzio” sembra vestirsi di nostalgia presagendo un’inutile morte. Mi sembra quasi che “voglia uscire dallo schermo” per entrare nello spettatore come se fosse una misteriosa forza che suggerisce all’uomo di continuare a credere, perché gli eventi non si possono evitare. La condanna di Moro è seguita dalle immagini montate in successione che rievocano le stragi del socialismo nel mondo, il deperimento fisico, la violenza psicologica, l’occultamento dei cadaveri gettati in mare. E’ a questo punto che, come un’esplosione, la musica di commento “taglia” il pianto di Chiara che non accetta più quello che aveva scelto di vivere. Il buio della notte riporta in vita il pensiero della brigatista che dice “Noi siamo soldati” richiamando un altro compagno che aveva l’intenzione di lasciare le Br. Intenso il momento in cui, Moro legge di spalle la lettera che ha scritto per il Papa, chiedendo a Maya un consiglio “Per toccare il cuore…mi serve una parola, non due…” . La giovane piange perché sente che quelle parole resteranno inevitabilmente inchiodate sulle pagine della storia, perché sono le parole di un uomo che scrive ad un vecchio Papa, e le loro vite ricordate per quell’errore. Emblematico anche il secondo dialogo tra il capo Br e Moro, quando l’Onorevole chiede al brigatista se ha paura di morire e il primo gli risponde “Ogni uomo un giorno deve morire, ma non tutte le morti hanno lo stesso significato.” Mi ha colpito anche la scena in cui, a tavola, Chiara osserva gli altri tre compagni mentre si fanno il segno della croce. Il suo primo piano svela due occhi inorriditi, glaciali. Anche qui il commento sonoro sottolinea il momento in cui la giovane immagina l’alba di un giorno nuovo, che con la sua luce squarcerà il buio della notte, vede l’alba in cui l’uomo bendato, privato di ogni dignità, rivedrà la vita, andandogli incontro, camminando da solo con il suo cappotto, libero. E forse solo così avrà giustizia, perdonando chi non ha ascoltato la sua voce.
Se si potesse sintetizzare in una pagina, questo film sarebbe sicuramente una pagina bianca sulla quale si posa una fotografia.
La foto è sbiadita, c’è un uomo che fissa davanti a se con due occhi grandi e malinconici. Dietro le sue spalle un manifesto rosso marchiato a fuoco da una stella a cinque punte.
Se fosse una poesia accarezzerebbe il velluto nero dei versi di Emily Dickinson…
“Buongiorno, notte”
- Sceneggiatura desunta
NASCONDIGLIO DELL’ON . ALDO MORO – COVO DELLE BRIGATE ROSSE – NOTTE
Mario Moretti, leader-capo delle Brigate Rosse, entra nel nascondiglio dell’on . Aldo Moro, trovandosi davanti un uomo sereno, forte nella propria fede, nell’amore per la propria famiglia, ma stranito, inconsapevole protagonista di un rapimento che gli risulta, inspiegabile. Il suo inutile sequestro non porterebbe alcun vantaggio alla Lotta armata, eppure, dal colloquio dei due, emergono le distorte ideologie di “giustizia punitiva” messe in atto attraverso la violenza delle Br, che, caratterizzarono, gli anni di piombo.
ALDO MORO
Che senso ha per voi il mio rapimento?
Vedete… io non ho un potere istituzionale,
incarichi di governo…
MARIO MORETTI
Ma tu per questo Paese
sei la Democrazia Cristiana.
Noi non vogliamo processare te
come uomo rispettabile,
privato cittadino,
il padre di famiglia, ma ciò che
tu rappresenti, il simbolo, la funzione,
il partito che tu incarni,
così come io rappresento
tutto il proletariato.
ALDO MORO
Il mio è un partito di massa
fatto di gente che lavora…
MARIO MORETTI
In Italia è il sistema che non funziona.
Vedi…tu parli di “gente”, noi parliamo di
“classi”…di lotta di classe, di odio di classe…
ALDO MORO
Odio, dice lei…Strano…pensi che io non
riesco ad odiare neanche lei.
Non credo che l’odio, la guerra dichiarata
al sistema siano mai stati il motore della storia…
La gente ha paura, vuole vivere e lavorare
in pace…la Democrazia Cristiana è il partito
della tranquillità, della normalità della gente comune.
MARIO MORETTI
Noi siamo stanchi della quotidianità
perché tutto resta com’è senza cambiamenti…
Il tuo è il classico pensiero reazionario di
chi ha l’atteggiamento ipocrita!
Ti voglio ricordare che “la giustizia proletaria
prevede la pena di morte senza ricorso in appello
o in cassazione…
(Pausa di silenzio tra i due dialoganti)
ALDO MORO
“Libertà o morte” diceva qualcuno…
Come testa o croce…bianco o nero…eh?
E certo… non mi potete mica condannare
all’ergastolo…
(Musica Colonna Sonora “Il silenzio”)
ALDO MORO
Voglio scrivere a mia moglie, ai miei figli e a
i miei amici di partito…chiedo solo questo.
(La richiesta di Moro coincide con
il rispettoso avvio della colonna sonora.
“Il silenzio” riarrangiato scaturisce
dalle parole di Moro e si veste di
nostalgia)
MARIO MORETTI
Hai paura di morire?
ALDO MORO
Perché me lo chiede?
MARIO MORETTI
Una domanda scomoda per te che credi nell’aldilà…
ALDO MORO
La morte…vede, anche Cristo nell’atto
del Getsemani ha avuto paura…
MARIO MORETTI
Mi ricordo che da bambino ero talmente entusiasta
della religione che aspettavo di morire per vedere
come fosse il paradiso…
Che assurdità!
ALDO MORO
Perché lei non ha paura di morire?
MARIO MORETTI
Tutti muoiono prima o poi…
E’ la natura umana anche se non tutte le morti
hanno lo stesso significato.
Assunta Petruzzi