Divorzio all’Italiana: il cinema rompe i tabù in Italia

  26 Ago 2020

È il film con il quale Pietro Germi, dai toni più drammatici dei primi film, passa a sorpresa alla commedia e alla satira.

Con un classico schema da commedia all’italiana, Germi adatta e trasforma il romanzo drammatico di Giovanni Arpino Un delitto d’onore in un ironico e godibilissimo ritratto della mentalità e delle pulsioni di una certa Sicilia di provincia, soprattutto prendendo di mira con un sarcasmo a volte feroce due situazioni di arretratezza legislativa dell’Italia dell’epoca: la mancanza di una legge sul divorzio (che arriverà solo nel 1970), e soprattutto l’anacronistico articolo 587 del codice penale che regolava il delitto d’onore, che verrà abolito soltanto venti anni dopo

Ne scaturisce una commedia graffiante, retta magistralmente da Marcello Mastroianni, da comprimari di livello, come Leopoldo Trieste e Daniela Rocca, imbruttita sino ad essere irriconoscibile, e da una giovane Stefania Sandrelli, che grazie a questo film avrà grande notorietà. Da considerare uno dei migliori film della commedia all’italiana, costituirà un modello per molti altri film che negli anni successivi tenteranno di ritrarre ironicamente la mentalità e i costumi dell’Italia meridionale.

L’impresa era partita dall’idea di adattare il romanzo di Giovanni Arpino ma nel corso delle riunioni di sceneggiatura Ennio De Concini e Alfredo Giannetti avevano messo una pulce nell’orecchio a Germi: quel modo drammatico di proporre l’urgenza di revisionare l’articolo 587 del Codice Rocco, che alleggeriva di molto la responsabilità penale di chi uccide il coniuge per motivi d’onore, rischiava di essere fuori moda rispetto al rapido cambiamento del costume. Perché non trasferirlo, invece, sul piano della commedia? E così fecero… Si può fare una commedia intelligente, lesta, graffiante anche illustrando un articolo (il 587) del codice penale. Se c’è un’arte che nasce dall’indignazione, questo film le appartiene. Moralista risentito, Germi carica qui i suoi livori di un umor nero, di una amara e invelenita buffoneria che trova negli interpreti, soprattutto in Mastroianni, il suo sfogo.»

LA TRAMA Nell’ipotetica città siciliana di Agramonte vive il barone Ferdinando Cefalù, detto Fefè. L’uomo è coniugato da quindici anni con l’assillante Rosalia, una donna ormai bruttina ma ardente d’amore per lui. Nel frattempo, è innamorato della propria cugina, la sedicenne Angela. La legge italiana non ammette il divorzio, ma è ancora previsto il delitto d’onore, un caso di omicidio punito con pena più mite e molto frequente in Sicilia. Così Fefè tenta allora disperatamente di trovare alla moglie un amante, per poterli sorprendere insieme, ucciderli, usufruire del beneficio del motivo d’onore e – scontata la lieve pena – sposare finalmente l’amata. Non ci riesce, ma la sorte gli viene incontro. In seguito a un litigio con il marito, Rosalia, sentendosi abbandonata, cerca conforto in Carmelo Patanè, un suo vecchio spasimante creduto morto in guerra e poi tornato. Fefè, venuto a sapere della vecchia relazione, favorisce gli incontri e spia i potenziali adulteri. Finché un giorno scopre che si sono finalmente dati appuntamento, in occasione dell’arrivo in città del film La dolce vita, che richiama tutto il paese. Il barone va al cinema, ma nel mezzo della proiezione rincasa allo scopo di sorprendere gli amanti. Questi, però, anziché consumare il tradimento fuggono. Venuta a mancare la flagranza, che avrebbe giustificato lo stato d’ira preteso dalla norma sul delitto d’onore, Fefè si finge malato e incapace di reagire. Si attira così il disprezzo di tutti i concittadini, intenzionalmente, per creare condizioni di disonore sufficienti a giustificare lo stesso il suo gesto. Nel frattempo lo zio Calogero, padre di Angela, muore d’infarto scoprendo casualmente la tresca della figlia con il nipote. Al funerale fa la sua apparizione Immacolata, moglie di Patanè, che umilia pubblicamente Ferdinando, sputandogli in faccia. Grazie a don Ciccio Matara, boss locale, il barone viene a conoscenza del luogo dove sono nascosti i fuggiaschi. Giunto sul posto, trova Immacolata che ha già vendicato il suo onore uccidendo il marito. Non gli resta allora che fare altrettanto con Rosalia. Condannato a tre anni di carcere, sconta una pena inferiore beneficiando di un’amnistia, e torna infine in paese dove finalmente sposa la bella Angela. Ma, dopo pochi mesi, in viaggio di nozze qualcosa (o meglio qualcuno) mette già in dubbio la felicità dell’unione. Nella scena finale infatti, Angela sdraiata sul ponte di una barca bacia il neo marito Fefè, mentre con un piede carezza quello del giovane timoniere.

Brunella Imbrogno

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