Favolacce, un’alternativa al cinema
Prendi una tipa, una di quelle a digiuno di cinema, una di quelle che – Sai ècche io amo la carta -, di quelle che – Cioè veramenteeee, Vudi Allen non m’ha mai convinto troppo -.
Proponile di vedere Favolacce, – Ah sì, dei fratelli Germano – ti dirà. E per fortuna che i cinema sono chiusi perché una così in sala verrebbe distratta dalle suonerie dei telefoni, dai popcorn masticati a bocca aperta, da quello che entra in ritardo e fa alzare tutti per sedersi al centro. Ma i cinema sono chiusi, quindi puoi metterla su un divano di una stanza semi vuota; unico elemento di disturbo visivo, un accendino, giallo, sotto al televisore, potresti toglierlo ma lo lasci. Speri che lei riesca a concentrarsi comunque sul film. Non fuma.Guardate il film, tu e la tipa, in silenzio, ai titoli di coda premi Stop e attendi il suo commento: -Ma quindi il diario? Ma quindi era la bambina, o il bambino? Ma quindi so’ vivi? – Premi Play e lo rimetti da capo, per fortuna non siete al cinema, e la pausa la fai dopo il: – Quanto segue è ispirato a una storia vera, la storia vera è ispirata a una storia falsa, la storia falsa non è molto ispirata -.
A quel punto lei capisce tutto: -Aaang, eh, infatti è na favola oh, me pare che nelle favole tutto può succede. –
Tu no, non hai capito, non tutto almeno, e vorresti vedere un’intervista ai D’Innocenzo per levarti qualche dubbio, ma hai paura che esordiscano con un – Cioè nel sensooo –, e allora ti tieni i dubbi e interpreti. Ripercorri con la mente i problemi e gli errori di vite adulte in cui potresti ritrovarti tu (se solo i piatti in tavola non fossero di plastica), gli sguardi muti di bambini a cui tra dieci anni sapresti dare i nomi e cognomi dei tuoi amici, tra quelli che ci sono ancora e quelli che non ci sono più.
Favolacce è un film che lascia dubbi, che apre a discussioni, che invita a interpretazioni e i fratelli D’Innocenzo giocano a carte scoperte, te lo dicono fin dal principio che sono favole e non è la struttura quella che deve reggere ma sono le singole scene a dover colpire, e colpiscono. A rimanere incastrati tra occhi e stomaco del pubblico sono infatti intense macchie di colore: il verde dell’acqua di una cisterna, l’azzurro di una piscina gonfiabile in giardino, il colore puzzolente del lungomare di Torvaianica e il rosso di una colata di sugo che quando lo riguardi ti rendi conto quanto sia quello a dare il -la alla scena chiave della narrazione.
Insomma finisce il film, anche il secondo giro, quello per rivedere le scene salienti. Ti aspetti il commento elaborato della tipa – Bello, ammazza. – o peggio, temi che tiri in ballo Pasolini e le periferie, e invece no, si astiene dal commentare, esce e quando in piazza le chiedono cosa ne pensa, risponde – Lo devi vedè. Attento ai colori, c’è tanto verde, ma cerca il rosso -.
Erica Giopp