I Cento Passi, il capolavoro di Marco Tullio Giordana

I Cento Passi, il capolavoro di Marco Tullio Giordana

Tra la casa di Peppino Impastato e quella di Gaetano Badalamenti ci sono cento passi. Li ho consumati per la prima volta in un pomeriggio di gennaio, con uno scirocco gelido che lavava i marciapiedi e gonfiava i vestiti. Mi ricordo un cielo opprimente e la strada bianca che tagliava il paese in tutta la sua lunghezza, dal mare fino alle prime pietre del monte Pecoraro. Cento passi, cento secondi: provai a contarli e pensai a Peppino. A quante volte era passato davanti alle persiane di Don Tano quando ancora non sapeva come sarebbe finita. Pensai a Peppino, con i pugni in tasca, tra quelle case, perduto con i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire in fondo alla Sicilia.” (Claudio Fava, “Cinque delitti imperfetti”, Mondatori 1994, p.9)

Il film che ci propone Marco Tullio Giordana è un patriottico sentito omaggio alla vita di un giovane del Sud come tanti, ma “diverso” allo stesso tempo dai suoi contemporanei siciliani. E’ la storia di Peppino Impastato che si ribella al padre mafioso e all’omertà che domina le giornate di tutta la gente perbene del Sud d’Italia. Sono cento i passi che separano la casa di Peppino da quella del boss Gaetano Badalamenti. E Peppino quei cento passi non li vuole fare. E mai li farà, perché vuole ribellarsi al sistema, vuole continuare a gridare con forza che “la mafia è una montagna di merda” (come recita un eccellente Luigi Lo Cascio in una delle scene chiavi del film nel dialogo con il fratello). Nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, Peppino Impastato viene fatto saltare in aria con una potentissima carica di esplosivo. A 21 anni di distanza, la troupe di Marco Tullio Giordana approda, nell’autunno del 1999, nelle campagne di Cinisi, il paese in cui il giovane visse e dove, come afferma l’interprete Lo Cascio“Peppino dimostra come ad un certo punto della vita si possa rompere con gli avviluppamenti che si stringono con il proprio ambiente nativo”. Questo film ridisegna in modo straordinario l’esistenza di questo giovane che ha fatto del coraggio la propria “professione” di fede più alta, impegnandosi attivamente nella politica con i giovani del suo paese, prima, e fondando la Radio Aut, poi. Come afferma M. T. Giordana, “Mi sembrava giusto realizzare un film su Peppino Impastato perché è stato uno di quei ragazzi del ’68 che ha inventato uno strumento di fusione della contestazione giovanile, della sua denuncia del sistema mafioso che somiglia molto a teatro; ha dimostrato come bisogna imparare prima i codici mafiosi per poi iniziare a ribellarsi: è stata questa la straordinarietà di Peppino, nel momento in cui ha iniziato a ridicolizzare i mafiosi” . La vita di Peppino rappresenta la fuga da una realtà oppressa dal “non vedo, non sento, non dico niente” in una delle terre più tormentate dalla criminalità organizzata, che, tra le splendide meraviglie della Sicilia, ha posto le radici del male finendo per consumare la vita di uomini e donne pronti a tutto per il potere e i soldi.

“I cento passi” di Marco Tullio Giordana è uno dei film meglio riusciti in Italia degli ultimi quindici anni, perché graffia e scuote le coscienze fin dai primi sguardi, le prime inquadrature che iniziano a raccontarci la sensibilità del piccolo Peppino che siede su una poltrona rossa al funerale dello zio capomafia e, come tutti i bambini curiosi, ama fare tante domande, curiosissimo di ogni cosa che vede e ascolta. Crescendo subisce il fascino delle idee comuniste e diventa un vero attivista per la libertà pronto a tutto pur di condannare la corruzione e il potere dei boss che credono di avere il controllo dell’intero territorio. Impastato ha il coraggio di scrivere “La mafia è una montagna di merda” sul giornale locale “L’idea socialista” provocando lo sdegno dei suoi familiari, e in particolare, la rabbia cieca del padre Luigi davanti al quale Peppino non si tira indietro, ma lo affronta tenacemente forte e sicuro delle sue buone intenzioni e convinto di agire nel bene della stessa popolazione locale che però spesso lo contesta. Una delle scene migliori e più emotivamente coinvolgenti è senza dubbio la settima, in cui Luigi Lo Cascio, insieme a Paolo Briguglia (che interpreta il fratello Giovanni), si ritrova in strada, fuori dalla casa di Cinisi, e intreccia un dialogo “subalterno” d’effetto con il fratello minore che sembra intimorito (come la maggior parte della gente che ha paura di mancare di rispetto al boss don Tano). Peppino cerca di scuotere “emotivamente” il fratello perché comprende la gravità del silenzio e dell’omertà che piegano e “piagano” la gente che pur di vivere tranquillamente, è spesso e volentieri disposta a tutto per non avere problemi. La scena risulta perfettamente come l’esaltazione della libertà d’espressione e del coraggio di voler combattere per sconfiggere la mafia, il “cancro” della Sicilia. In quei cento passi, Peppino trova la giustificazione alla sua personale lotta interna contro le regole d’onore, il rispetto tributato ad un personaggio potente, e un’altra lotta, invece, esterna, contro l’intero sistema della finzione omertosa che mette in discussione i legami, i rapporti familiari ma non i veri valori, non la bellezza, come afferma Impastato perché è vero che “La Natura vince sempre…la gente crede che è ancora più forte dell’uomo, invece non è così: in fondo tutte le cose, anche le peggiori, una volta fatte, si trovano una logica, una giustificazione per il solo senso di esistere…Non ci vuole niente a distruggere la bellezza…bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza! Aiutarla a riconoscerla, a difenderla. E’importante la bellezza, perché da lei viene tutto il resto”. Un’altra scena intensa è quella della provocazione nei confronti del sindaco “corrotto” di Cinisi che goliardicamente Peppino durante un comizio del suo partito, prende in giro, elencandogli tutte le morti sospette che hanno segnato quella zona della Sicilia condannando il silenzio dell’omertà che uccide due volte. La vita del giovane Impastato scorre via tra studio, politica, musica e la fondazione di Radio Aut, per farsi sentire anche fuori della sua zona, per gridare che la libertà è la conquista più grande della nostra esistenza. Mi ha colpito in particolare l’interpretazione di Lo Cascio diretta, coinvolgente, e la regia di Giordana perché in ogni momento del film ha saputo ricreare magistralmente attraverso il lavoro di tutto il cast, l’atmosfera di quegli anni, in cui Peppino Impastato è cresciuto con le uscite e i balli in giro con gli amici, ma sempre animato da uno spirito civico irrefrenabile che lo porta a condannare la mafia attaccando “don Tano” denunciando i suoi sporchi traffici con i suoi interventi pubblici e la sua radio. Il percorso “controcorrente” di Peppino nasce quando, bambino, vede scorrere davanti a sé gli albori della lotta politica contro la mafia e il potere a essa colluso, lotta a cui poi prenderà attiva parte una volta adolescente e poi da adulto. La morte violenta dello zio, l’incontro e la formazione politica che gli apre la strada il pittore comunista Stefano Venuti, il rifiuto del padre biologico e della famiglia intesa in senso mafioso diventano tutti i  principali punti di svolta della vita di Peppino bambino, che lo segneranno per sempre. Come anche il rapporto con l’amatissima madre alla quale dedica dei struggenti versi in una scena veramente toccante e significativa, (che in qualche modo, diventa il testamento spirituale di un ragazzo che diventa sempre più personaggio scomodo per gli ambienti mafiosi). Nel buio di un garage, Peppino osserva l’anziana madre, e sembra immaginare il dolore che provocherebbe in lei se dovesse accadergli qualcosa di male, così Peppino abbassa lo sguardo diventando di nuovo come un bambino indifeso che ascolta con tenerezza la propria madre leggere queste parole: “L’anima è in te…ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù”. La tenacia di un giovane come tanti che contro tutti continua a dar voce alla gente onesta che se sta nell’ombra lavorando per la propria famiglia..questa è la straordinaria forza di Peppino che riesce persino a ironizzare sulla morte provocata per ordine del boss di Cinisi, quando alla radio grida: “E noi ti perdoniamo don Tano, certo che ti perdoniamo per tutti quelli che hai ammazzato” mentre il padre per la “vergogna” è costretto a partire in America mentre il figlio ribelle continua la sua lotta ogni giorno e sul finire degli anni ’70 si unisce alle voci dei giovani che inneggiano alla libertà sessuale e all’emancipazione femminile, occupa radio Aut a favore della libertà d’espressione e della verità, riceve le prime minacce ma continua la sua “battaglia” nonostante un caro amico lo avverte, cerca di fargli capire che sono pericolosi i colpi di testa, gli consiglia di sparire un po’ dalla circolazione per non farsi né vedere né sentire, in modo che i suoi nemici credano si sia ritirato dalla lotta politica. Anche il padre gli propone di raggiungerlo negli States per far lo speaker radio lì accolto dai suoi cugini, anch’essi collusi con la mafia come il vecchio zio morto anni prima, anche loro cercano di metterlo con le spalle al muro, persino il cugino Antony gli invia un avvertimento, attraverso un messaggio in codice la “cravatta nera” in vista del lutto per il prossimo funerale, proprio quello del padre, sul quale proprio la mafia si accanisce, vendicandosi indirettamente per non aver tenuto a bada quel figlio così ribelle. Un’altra scena intensa è quella del dialogo con lo sfogo del fratello: Giovanni, stanco dei continui colpi di testa di Peppino, gli urla che è un incosciente, che ha rischiato tutta la vita di farsi ammazzare e lui stesso, ha passato tutta la propria vita a vivere nella sua ombra correndo il rischio di pagare anch’esso per il fratello ribellatosi al sistema. Emblematica la scena dell’incubo di Peppino, in cui si palesa il boss Badalamenti (don Tano interpretato da un bravissimo Tony Sperandeo) che incontra i due fratelli nella loro locanda e li minaccia con parole dirette che terrorizzano al solo pronunciarsi: “Tu sii un nutto immescato cu niente” tradotto “Tu sei il nulla mescolato con il niente”. Questa è la prima volta in cui Peppino, risvegliatosi ha veramente paura di quello che rischia mettendosi tutti contro, rischiando di perdere la vita. Ma lui è coraggioso e la stessa frase “Noi comunisti perdiamo perché ci piace perdere. Dentro s’impara sempre la sconfitta…e noi comunisti saremo sempre sconfitti perché ci piace essere divisi, fare ognuno per conto nostro” sembra quasi un preludio alla sua tragica morte, che giunge quando ormai è diventato troppo scomodo per i clan mafiosi e il padre, morto in un oscuro incidente, non può più proteggerlo dall’odio di don Tano Badalamenti. Nel 1978 decide di schierarsi tra le fila del gruppo di Democrazia Proletaria ma una notte, viene rapito, bastonato a sangue e fatto saltare in aria con una potentissima carica d’esplosivo. L’epilogo tragico dell’esistenza di Impastato ricorda tutte le misteriose scomparse e le morti innocenti che restano senza risposta nell’Italia del dopoguerra, in un Paese dove si vive strettamente legati al proprio luogo d’origine e alla propria famiglia, un Paese dove basta poco aver paura e restare in silenzio.

Peppino Impastato era un siciliano vero. Un giovane sincero. I suoi cento passi sono quelli del coraggio a sapere dire “No alla mafia”, i passi verso l’onestà perpetuata con coraggio anche a costo della morte. Come ha scritto Marco Tullio Giordana, “I cento passi” è un film “per ricordare Peppino Impastato e tutta quella generazione di giovani, che ha impegnato le proprie risorse e le proprie energie per costruire una società migliore fondata sui valori, sull’immaginazione e la felicità”. E’ un film per chi sogna che davvero, un domani, si possa realizzare il sogno di un mondo migliore”, o almeno più vivibile, un mondo dove si possa guardare il cielo senza paura della libertà, che ha un profumo meraviglioso in grado di sopprimere “il puzzo del compromesso storico” come affermava il giudice Paolo Borsellino. Peppino Impastato muore lo stesso giorno del delitto Moro, nel 1978. Oscurati dalla tragedia nazionale in atto in quei giorni, la sua storia e la sua tragica fine resteranno ignoti all’Italia intera per più di vent’anni, sino all’uscita del film di Giordana. La critica ha notato come la scena finale del funerale con i pugni alzati al cielo del saluto comunista e le bandiere rosse sventolanti  richiamerebbero gli echi dei film propagandistici, in realtà invece questo è un film di impegno civile accompagnato dai richiami e le citazioni musicali che hanno segnato l’epoca storica in cui ha vissuto Impastato.

Discorso Radio Aut, dopo la morte di Peppino Impastato (tratto dalla sceneggiatura originale)

“Stamattina Peppino avrebbe dovuto tenere il comizio conclusivo della sua campagna elettorale.
Non ci sarà nessun comizio e non ci saranno più altre trasmissioni. Peppino non c’è più, è morto, si è suicidato. No, non sorprendetevi perché le cose sono andate veramente così. Lo dicono i carabinieri, il magistrato lo dice. Dice che hanno trovato un biglietto: “voglio abbandonare la politica e la vita”.
Ecco questa sarebbe la prova del suicidio, la dimostrazione. E lui per abbandonare la politica e la vita che cosa fa: se ne va alla ferrovia, comincia a sbattersi la testa contro un sasso, comincia a sporcare di sangue tutto intorno, poi si fascia il corpo con il tritolo e salta in aria sui binari. Suicidio.
Come l’anarchico Pinelli che vola dalle finestre della questura di Milano oppure come l’editore Feltrinelli che salta in aria sui tralicci dell’Enel. Tutti suicidi. Questo leggerete domani sui giornali, questo vedrete alla televisione. Anzi non leggerete proprio niente, perché domani stampa e televisione si occuperanno di un caso molto importante. Il ritrovamento a Roma dell’onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle brigate rosse. E questa è una notizia che naturalmente fa impallidire tutto il resto. Per cui chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia, ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato. Adesso fate una cosa: spegnetela questa radio, voltatevi pure dall’altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare. Voi avete dalla vostra la forza del buonsenso, quella che non aveva Peppino.
Domani ci saranno i funerali. Voi non andateci, lasciamolo solo. E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma no perché ci fa paura, perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace. Noi siamo la mafia. E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso, tu sei stato un ingenuo, sei stato un nutto immescato cu niente” .

Assunta Petruzzi

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