Il ritorno di Cagliostro, occasione di confronto

  07 Set 2020

Il film di Daniele Ciprì ed Eugenio Moresco (2003) inizia con un documentario, che… in realtà è un falso documentario, tecnica proprio inventata dai due registi siciliani, che coglie le opinioni discordanti di diversi critici cinematografici, in occasione del ritrovamento delle pellicole perdute de Il ritorno di Cagliostro, film “leggendario” della Trinacria Cinematografica.

La storia è quasi interamente immaginaria. Nella Sicilia dell’immediato dopoguerra, i fratelli La Marca, titolari di una ditta di artigianato sacro, mettono in piedi, col beneplacito dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Sucato, la Casa di Produzione Cinematografica Trinacria, che nelle loro intenzioni dovrebbe essere l’inizio di una “Hollywood di Sicilia”. I primi film, però (interpretati da attori non professionisti, mal recitati e diretti) si rivelano catastrofi, e per risollevare le sorti della ditta viene scelto come finanziatore un barone spiantato ed occultista, che ha un’idea: girare un film sulla vita di Cagliostro, ingaggiando come regista il fallito Pino Grisanti, e come protagonista Errol Douglas, un divo di Hollywood alcolizzato ed in netto declino.

Le riprese andranno in maniera catastrofica, e avranno il culmine quando Douglas, lanciandosi da una finestra del terzo piano, cadrà spiaccicato al suolo, diventando pazzo per la caduta: sarà rinchiuso in un manicomio a vita. I La Marca falliranno ben presto, ed un nano che compare nell’ultima mezz’ora del film (Davide Marotta), spiega a tutti la vera storia, al di là del documentario di prima: dietro quegli innocui “pataccari” stavano in realtà i mafiosi di Lucky Luciano.

Brunella Imbrogno

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