Lovecraft, la paura che non si vede
Uno degli autori simbolo dell’horror contemporaneo, Howard Philips Lovecraft e la paura dell’ignoto
“Il sentimento più forte e più antico dell’animo umano è la paura, e la paura più grande è quella dell’ignoto.” Queste pochissime righe di Howard Philips Lovecraft riassumono il pensiero dello scrittore di Providence, ossessionato non tanto dalla paura in sé, quanto della paura del non conosciuto, del non detto. Lo scrittore, poeta, saggista e critico letterario è considerato infatti, assieme a Stephen King e Edgar Allan Poe, uno dei massimi esponenti della letteratura horror contemporanea. I primi racconti di Lovecraft infatti prendono molto spunto da Poe, questo vero iniziatore del racconto horror. Ma per capire meglio il personaggio bisogna partire da qualche principio psicologico: la continua lotta della psiche umana tra un istinto vitale e un istinto mortale, il tutto che però riconduce ad un meta comune, la paura. Questo sentimento appartiene a qualsiasi essere senziente poiché, nella catena alimentare, alcuni sono predatori, ma tutti sono prede; ed essendo tutti prede, tutti sono accomunati dalla paura. E’ la paura che livella tutti gli esseri viventi sullo stesso piano, poiché si è sempre più deboli di qualcos’altro; e come già scritto prima, per Lovecraft la paura più forte è quella dell’ignoto. Nella stesura dei suoi racconti, Lovecraft prendeva molto spunto dai suoi incubi, lo scrittore non ebbe infatti vita molto agiata, anche a causa di alcuni problemi legati alla salute. Il cambiamento che Lovecraft portò nella letteratura horror si basa proprio sul non conosciuto poiché, prima di lui, nei racconti si leggeva di bestie e mostri divenuti a un certo punto visibili; e dunque potenzialmente anche vulnerabili. Ma cosa succede quando il mostro o la creatura in questione non si può vedere? Quando si sa che si è disturbati e tormentati da qualcosa ma di cui non si conosce nulla? Questo principio per Lovecraft è fondamentale, se si ha paura di qualcosa di cui si ha consapevolezza, allora in virtù di quella consapevolezza si dovrebbe trovare il coraggio di combattere; per lo scrittore di Providence questa consapevolezza non esiste. Non a caso il suo viene anche definito orrore cosmico, poiché nei suoi racconti l’uomo è una creatura sciocca, impacciata, inconsapevole degli orrori che gli stanno attorno. Lovecraft distrugge così il mito della caverna di Platone, uscendo dalla caverna l’uomo non trova la verità ma la follia, perché al di fuori esistono cose talmente orribili che la mente umana, nella sua fragilità, non riuscirebbe a reggere. Il pensiero di Lovecraft infatti non è positivista perché, nel momento in cui avvengono scoperte scientifiche, mentre i più pensano ad un altro passo in avanti dell’uomo, lui invece conferma quanto questo sia così piccolo e insignificante di fronte la vastità del cosmo. Per comprendere meglio, uno dei suoi racconti più celebri è “Il colore venuto dallo spazio”. Un gruppo di scienziati scoprono un meteorite caduto sulla Terra, dal quale fuoriesce una sostanza dal colore diverso da quelli canonici. Ora, è possibile immaginare un colore differente da quelli conosciuti? No, è impossibile, poiché la mente umana non riesce in realtà ad andare oltre la famosa caverna di Platone; e se ci prova, troverà solo un vuoto nero pronto ad inghiottirla nella follia. Proprio in fatto di scienza, nei suoi racconti sono spesso citate le geometrie non euclidee, portando al crollo di teorie assolute e al trionfo del relativismo. Per Lovecraft la scienza è come una piccola luce puntata in una stanza buia, che però mostra innanzi un abisso nero, ovvero il caos; questo tra i fattori caratteristici delle sue creature. I riferimenti alla psiche poi riguardano anche l’inconscio o il subconscio, ciò che non risponde alle leggi della ragione. Manoscritti andati perduti come il “Necronomicon”, statuette raffiguranti esseri mostruosi e sconosciuti (“Il richiamo di Chtulhu”), obeliscihi in cui si intravedono impresse figure umanoidi con le sembianze di pesci (“Dagon”); tutte le descrizioni in Lovecraft sono molto limitate, ed è proprio la mente individuale a riempire quegli spazi vuoti, nei quali ogni teoria è possibile. Altre teorie come il multiverso sono protagoniste della letteratura lovecraftiana, ovvero l’esistenza di infinite dimensioni in cui l’universo si espande e laddove, ciascuna dimensione, costituisce un universo a sé con proprie leggi. Le creature vengono anche viste così avanzate tecnologicamente che vengono scambiate per divinità, ma queste “divinità” non hanno che malevoli piani per l’uomo, essere considerato mero incidente del cosmo, e dunque soggetto al caos. Diversi sono i film ispirati alla letteratura di Lovecraft come “La Casa” di Sam Raimi, “Il seme della follia” di John Carpenter, “La città dei mostri” di Roger Corman, o il più recente “Il colore venuto dallo spazio” di Richard Stanley, con Nicolas Cage.
Francesco Sarri